Ristrutturare un'azienda è complicato. Che si ristrutturi un solo dipartimento o l'intera impresa, il processo richiederà pianificazione, tempo ed energie.

Prima di tutto, però, è fondamentale sapere cosa si intende per ristrutturazione aziendale. Con questo termine si va ad identificare il processo volto a ristabilire l’equilibrio economico-patrimoniale-finanziario venuto meno con il sorgere della crisi aziendale.

Che cos’è e quando è necessaria la ristrutturazione di un’azienda

Il concetto di ristrutturazione aziendale è strettamente connesso a quello di crisi aziendale. Ove, per crisi aziendale, si intende un lasso temporale in cui l'operatività dell’azienda si interrompe o diminuisce per via di specifici elementi di difficoltà.

Possono essere delineate due tipologie di crisi che un’impresa può subire:

  • crisi economica: i risultati economici dell’azienda sono negativi e la sua operatività non riesce a remunerare l’insieme dei processi di produzione;
  • crisi finanziaria: ad esempio quando il magazzino e i crediti impediscono all’azienda di rispettare le scadenze dei pagamenti.

Una crisi aziendale può essere dovuta a un fattore interno (uscite superiori alle entrate, investimenti sbagliati, errata gestione della liquidità) oppure a un fattore esterno (tassazione troppo elevata, crisi del settore, eventi inattesi come la passata pandemia).

Poiché il concetto di crisi è insito nel fare impresa, qualunque imprenditore deve prevedere l’eventualità che si verifichi. La ristrutturazione aziendale è per l’appunto l’insieme di operazioni volte a portare l’impresa fuori dalla crisi. Un processo, questo, che si svolge sul lungo tempo e che deve essere affrontato con la massima cura.

Come fare una ristrutturazione aziendale?

Non esiste un’unica modalità di esecuzione della ristrutturazione aziendale: gli strumenti a disposizione sono molti e quali usare dipende dalla specifica situazione in cui l’azienda si trova.

Individuare la causa della crisi

Prima di stilare un piano di ristrutturazione aziendale è necessario individuare le cause della crisi. Le più frequenti sono:

  • la mancanza di una strategia di business;
  • un numero esiguo di clienti, dovuto a un’inefficace attività di marketing;
  • l’inefficienza produttiva dell’azienda, per via di tecnologie obsolete, manodopera inadeguata o a causa della perdita d’interesse da parte del consumatore per il prodotto/servizio venduto;
  • liquidità scarsa (ma l’immediata lettura del Conto Economico e del Bilancio permette di correggere gli errori commessi, prima che la difficoltà diventi crisi);
  • una cattiva gestione aziendale, spesso riscontrabile ad esempio nelle piccole aziende che prestano poca attenzione ai documenti contabili (come nel caso della scarsa liquidità, anche una cattiva organizzazione può essere recuperata tempestivamente grazie all'impiego dei giusti sistemi di controllo).

Valutare gli ammortizzatori sociali

Spesso la crisi aziendale è solo temporanea. In questi casi, anziché procedere con una ristrutturazione vera e propria, è possibile far fronte alla gestione delle risorse umane ricorrendo a uno degli ammortizzatori sociali messi a disposizione dallo Stato.

La Cassa integrazione ordinaria (CIGO) consente di evitare i licenziamenti, quando l’attività aziendale deve essere ridotta o sospesa a causa della crisi. Ne possono usufruire tutti i dipendenti con contratto subordinato, apprendisti compresi, ma non sono ammessi i dirigenti né i lavoratori a domicilio.

La sua durata è di 13 settimane continuative, prorogabili trimestralmente fino a un massimo di 52 settimane. A erogare al dipendente la cassa integrazione, che corrisponde all’80% della mensilità, è l’INPS.

La Cassa integrazione straordinaria (CIGS) è invece una misura a favore dei lavoratori la cui attività è stata ridotta o sospesa, a seguito di una riorganizzazione aziendale, di una crisi aziendale o di un contratto di solidarietà. La sua durata è di 24 mesi, anche non consecutivi, nel quinquennio mobile. Come per la CIGO, anche il lavoratore in CIGS si vede corrispondere dall’INPS l’80% della sua mensilità.

Stilare un piano di ristrutturazione aziendale

Un piano di ristrutturare aziendale, affinché sia efficace, dovrebbe comporsi di tre fasi:

  1. analisi di ogni area aziendale, per individuare le cause della crisi;
  2. piano strategico, conseguente l’individuazione dei punti deboli;
  3. piano d’azione, con le strategie da mettere in atto dal punto di vista pratico e le loro tempistiche.

L’analisi deve riguardare sia i costi fissi che i costi variabili. I primi non sono legati alla quantità di beni prodotti: sono i cosiddetti “costi di funzionamento”, necessari perché un’azienda possa operare (es. affitto, bollette, costi del personale).

I secondi sono detti invece variabili poiché aumentano all’aumentare dei beni prodotti. Il primo passo per la ristrutturazione aziendale è studiare a fondo i costi dell’azienda, per individuare le eventuali criticità.

In secondo luogo, è necessario analizzare il margine di contribuzione e dunque la differenza tra il ricavo dalla vendita di un prodotto e i costi variabili sostenuti per produrlo. Dalla sua analisi possono emergere eventuali errori commessi nella gestione delle materie prime; è possibile anche capire se vale la pena continuare a realizzare quel prodotto/servizio.

Con tutti i dati in proprio possesso, è possibile ideare strategie commerciali per aumentare il fatturato e migliorare i flussi di cassa. Se il fatturato e la liquidità aumentano, si potranno inoltre contattare le banche per ristrutturare i debiti.

Gli strumenti giuridici

La Legge italiana prevede appositi strumenti giuridici per la ristrutturazione aziendale.

I piani attestati di risanamento per la ristrutturazione aziendale sono uno strumento stragiudiziale che non necessita di autorizzazione da parte dell’autorità giudiziaria e che consiste nella redazione di un piano - a cura dell’azienda - per la risoluzione della situazione debitoria. Affinché sia valido, un professionista indipendente deve certificare la sua fattibilità e la veridicità dei dati aziendali contenuti.

Il piano di riassestamento, disciplinato dal Codice delle imprese, deve seguire invece quando stabilito dalla Legge in termini di contenuto. Nello specifico, è necessario che contenga i dati sulla situazione economica e finanziaria dell’impresa, sulle cause della crisi, sulle strategie d’intervento con le relative tempistiche, sui creditori e l’ammontare dei loro crediti e sulle azioni da attuare per ristrutturare l’azienda. Anch’esso viene redatto autonomamente dall’impresa.

In alternativa, è possibile ricorrere all’accordo di ristrutturazione. Questo viene stipulato tra l’imprenditore in crisi e i suoi creditori (in una percentuale massima del 60%), a patto che l’imprenditore svolga un’attività commerciale, artigiana o agricola.

La Legge prevede anche un accordo di ristrutturazione agevolato, tra l’imprenditore e il 30% dei suoi creditori. A differenza che nell’accordo ordinario, in questo caso non vi sono moratorie nel pagamento dei creditori estranei all’accordo e non possono essere richieste misure protettive temporanee.

Infine, un altro strumento messo a disposizione dalla Legge per la ristrutturazione dell’azienda è il concordato preventivo (con continuità aziendale, assunzione in garanzia o liquidatorio). Si tratta di uno strumento complesso che tutela ampiamente il debitore e il cui obiettivo è quello di evitare il fallimento aziendale.



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