Il contratto a chiamata – anche detto “lavoro intermittente” - è una forma di contratto di lavoro in cui il lavoratore viene chiamato dal datore di lavoro solo quando è necessario, in base alle esigenze dell'azienda.

In caso contempli l’obbligo di rispondere alla chiamata del datore di lavoro, durante i periodi di inattività il lavoratore percepisce un’indennità il cui importo dipende dalla contrattazione collettiva. In caso di rifiuto ingiustificato, può però essere licenziato e obbligato a restituire la parte di indennità riferita al periodo successivo al rifiuto. Andiamo a scoprire più nel dettaglio come funziona il contratto a chiamata e quali lavoratori riguarda?

 

Contratto a chiamata: come funziona

Introdotto dalla Legge 30/2003, poi abrogato nel 2007 e ripristinato nel 2008, il contratto a chiamata è stato oggetto di una profonda revisione tra il 2012 e il 2013. Oggi, a disciplinarlo è il Decreto Legislativo 81/2015.

Secondo la normativa attualmente in vigore, il contratto a chiamata è un contratto a tempo determinato o indeterminato con cui il lavoratore si mette a disposizione del datore di lavoro, che può chiamarlo al bisogno nell’arco della settimana, del mese o dell’anno, per motivi individuati dalla Legge.

È riservato ai lavoratori minori di 24 e maggiori di 55 anni, per un numero massimo di 400 giornate lavorative nel corso di tre anni solari. Superato questo limite - che non riguarda però i settori del turismo, dello spettacolo e dei pubblici servizi - il rapporto si trasforma in lavoro a tempo pieno e indeterminato.

La Legge individua, inoltre, specifici casi in cui il contratto a chiamata non può essere stipulato:

  • sostituzione di lavoratori che esercitano il diritto di sciopero;
  • unità produttive che, nei precedenti sei mesi, sono state oggetto di licenziamenti collettivi ai danni di lavoratori con le stesse mansioni del lavoratore a chiamata;
  • unità produttive oggetto di sospensione del lavoro o cassa integrazione, ai danni di lavoratori con le stesse mansioni del lavoratore a chiamata;
  • aziende che non hanno effettuato la valutazione dei rischi.

All’interno del contratto a chiamata, che deve essere stipulato in forma scritta, il datore di lavoro deve specificare:

  • la sua durata;
  • il motivo che lo giustifica;
  • il luogo e la modalità della prestazione;
  • il preavviso della chiamata;
  • il trattamento economico e normativo;
  • i tempi e le modalità del pagamento della retribuzione e dell’indennità di disponibilità.

Prima che la prestazione lavorativa cominci, il datore di lavoro deve comunicarlo alla direzione territoriale competente: in caso non lo faccia, è soggetto a una sanzione amministrativa compresa tra i 400 e i 2.400 euro.

In termini di compenso, il lavoratore intermittente ha diritto a una retribuzione pari a quanto corrisposto a un lavoratore di pari livello, con mansioni analoghe. Se il contratto non prevede l’obbligo di risposta alla chiamata, nei periodi di inattività non percepisce alcun trattamento economico e normativo. In caso sia soggetto all’obbligo, invece, matura il diritto a un’indennità di disponibilità secondo quanto stabilito dalla contrattazione collettiva.

 

Contratto a chiamata: i vantaggi e gli svantaggi

Il vantaggio principale del contratto a chiamata è la flessibilità che garantisce: in caso di assenza dell’obbligo di risposta, è il lavoratore a scegliere di volta in volta se accettare o meno.
Inoltre, un contratto a chiamata presso un’azienda non pregiudica la sussistenza di rapporti di lavoro con altre aziende, il che consente di collezionare numerose esperienze lavorative, di acquisire competenze differenziate e di arricchire il proprio CV.

Di contro, il lavoratore a chiamata non può contare su un monte ore prestabilito e - dunque - su uno stipendio fisso, con tutti gli svantaggi che questo comporta in termini di stabilità e pianificazione finanziaria.

Chi presta un lavoro intermittente, tuttavia, è soggetto anche a delle tutele. Per poter attivare questa tipologia di contratto, come anticipato, l’azienda deve essere in regola con la valutazione dei rischi e le misure di sicurezza. Inoltre, il datore di lavoro deve versare al lavoratore i contributi previdenziali previsti dal contratto collettivo di settore, oltre a garantirgli le tutele per la malattia sul lavoro, il congedo di maternità o paternità, i permessi per allattamento e i congedi previsti per gli altri dipendenti. Infine, anche i lavoratori a chiamata possono richiedere la NASpI, in caso di corretto versamento dei contributi richiesti nel periodo precedente la domanda, e di contratto di lavoro pari o inferiore a 8.000 euro lordi.